Introduzione
L’interessamento dei linfonodi mediastinici, in assenza di diffusione ematogena a distanza, rappresenta il principale fattore prognostico nel tumore polmonare[1]. Le tecniche oggi in uso per lo studio del mediastino sono diverse, e consistono soprattutto in metodiche di imaging (TC, PET) e bioptiche mininvasive (TBNA, EBUS-TBNA, EUS-FNA), che rispetto a quelle chirurgiche (mediastinoscopia, toracoscopia, mediastinotomia), hanno il vantaggio di minori costi, invasività e rischi. Tali indagini vengono in genere utilizzate secondo sequenze in parte standard e condivise, che prevedono obbligatoriamente la TC, e successivamente il ricorso a PET e/o a tecniche agoaspirative o bioptiche senza un ordine rigoroso, ma spesso in funzione della esperienza degli operatori o della disponibilità delle varie metodiche nei diversi centri.
Una PET negativa può autorizzare il ricorso diretto alla chirurgia in assenza di fattori di rischio di localizzazioni secondarie occulte[1-4], mentre un prelievo citologico linfonodale negativo, in sintonia con le linee guida correnti, rende spesso necessaria una conferma con metodiche chirurgiche[4]. Il punto fermo è che nessun risultato può essere giudicato in modo astratto e compartimentato, ma deve essere correlato con la prevalenza stimata, o in altri termini, con la probabilità a priori di metastasi linfonodali mediastiniche e con il valore predittivo dei vari tests impiegati.
Sappiamo che sensibilità e specificità rappresentano due robuste caratteristiche intrinseche di un test, indipendenti dalla qualità del campione, ma di limitata utilità nell’impiego clinico in quanto non in grado di rispondere al problema centrale di come interpretare il risultato di un test diagnostico[5]. Ciò che soddisfa appieno il bisogno di conoscere le chances di una specifica diagnosi partendo dal risultato noto di un test è il suo valore predittivo, positivo o negativo; questo è possibile quando è nota la prevalenza nella popolazione in esame della patologia che si vuole studiare, e naturalmente è applicabile solo in campioni omogenei di popolazione.
La maggior parte degli approcci al mediastino proposti dalla letteratura considerano in modo più o meno implicito la probabilità “a priori” che una determinata neoplasia determini metastasi mediastiniche, identificando situazioni nelle quali uno stesso riscontro, per esempio una PET negativa, può essere conclusivo per la decisione chirurgica, ed altre nelle quali sono necessarie ulteriori indagini a causa di una elevata probabilità di riscontro inatteso di metastasi. Solo pochi lavori cercano di individuare criteri oggettivi per distinguere un prelievo citologico negativo da uno non adeguato e di suggerire comportamenti diversi nei due situazioni[6,7]; nessun lavoro, a nostra conoscenza, ha provato ad integrare i fattori prognostici nella neoplasia polmonare con le performances dei vari tests diagnostici in un modello unitario in modo che il giudizio da dare al risultato di ogni indagine non sia assoluto, ma sia messo in relazione alla probabilità pretest ottenuta dalle indagini che l’hanno preceduta.
Noi abbiamo proposto un algoritmo che utilizza il teorema di Bayes per stimare le probabilità finali (o “a posteriori”) di metastasi mediastiniche dopo che un certo numero di indagini diagnostiche è stato speso, offrendoci un mezzo semplice per giudicare quando, sulla base di tale probabilità finale, il paziente possa essere inviato alla chirurgia, o debba essere ulteriormente indagato[8,9]. Tale approccio è stato più recentemente sostenuto da Saettele e Ost[10].